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Un Paese bloccato: in Cina costruiscono un ospedale in 10 giorni. Da noi ci vogliono più di 14 anni per un cavalcavia

A chiacchiere tutti vogliono un Paese più snello e libero dalla burocrazia, poi vanno al Governo e si stoppa tutto. E’ la situazione tutta italiana delle opere pubbliche che darebbero un forte impulso all’economia italiana sia in forma diretta (per gli operai nei cantieri) che in forma indiretta (più strutture agevolano gli scambi e la produttività).

Abbiamo tutti negli occhi la costruzione dell’ospedale di Wuhan in Cina in meno di dieci giorni: una struttura completamente nuova di 25 mila mq costruita per fronteggiare l’emergenza del Coronavirus. Un “miracolo cinese”, come lo ha definito l’architetto del “bosco verticale” di Milano Stefano Boeri, e che invece dovrebbe essere la norma, o quasi. D’accordo, si tratta di un prefabbricato, ma stupisce la velocità organizzativa, realizzativa e burocratica che stride con quanto accade soprattutto da noi in Italia: in Cina dovevano costruire un ospedale, hanno deciso di farlo e lo hanno fatto.

Da noi ci vuole una vita perché tutto un bloccare qua e là, dal ponte di Genova in poi… In questo siamo dei veri campioni visto che per un’opera da meno di 100.000 euro possono bastare quasi 3 anni, ma per quelle con finanziamenti milionari la tempistica sale a dismisura e va dai 10 anni e 2 mesi per quelle fra 20 e 50 milioni di euro agli 11 anni e 6 mesi per una fra 50 e 100 milioni fino ai 14 anni e 6 mesi per opere che superano i 100 milioni di euro di stanziamenti.

Parliamo di opere come dighe, viadotti, ponti o lotti autostradali, ovvero ciò che è utile agli italiani. E si tratta di tempi medi (rivelati da Uver), che però spesso si allungano fino a diventare infiniti. Esempi? La costruzione del Mose di Venezia è iniziata nel 2003 e se tutto va bene entrerà in funzione nel 2021: 18 anni. I problemi sono spesso burocratici. L’iter comincia con il progetto analizzato dal Ministero delle infrastrutture che poi chiede i finanziamenti al Ministero dell’Economia che lascia che il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione) verifichi il rapporto costi e benefici. Finita l’analisi il progetto passa al Consiglio dei Ministri per l’approvazione che trova la copertura del finanziamento e avvia la gara per l’affidamento dei lavori.

Vince un’impresa ma spesso la seconda arrivata contesta la gara e parte la via giudiziaria. Ognuno di questi passaggi può durare anni e senza considerare la politica che può cambiare radicalmente e allora ecco che la Tav (la ferrovia Torino-Lione) ha iniziato lo sviluppo negli anni ‘90, ha visto il primo progetto nel 2001, è stato rivisto nel 2012 e con l’arrivo del M5S si è prima ribloccato per nuove analisi salvo poi scoprire che è stato tutto inutile: il 23 luglio del 2019, ovvero quasi trent’anni dopo l’inizio del progetto, la Tav è ripartita. La burocrazia è il grande veleno del nostro Paese e sarebbe il momento che i politici si dessero una mossa ad affrontare il problema.

E invece cosa fanno? Niente, è tutto fermo. L’Huffington Post ha notato come nel 2020 l’attività parlamentare sia ridotta al minimo. Dopo la chiusura natalizia del 23 dicembre, Montecitorio ha riaperto il 10 gennaio per discutere “interpellanze urgenti”. Poi sedute semideserte il 13, il 14 (per discutere di Alitalia), il 15 (per ascoltare Di Maio sulla Libia), il 17, il 20, il 21 (per il sistema creditizio del Mezzogiorno) per poi riparlarne il 27 con la discussione sulla proposta di legge Costa per cancellare il blocco della prescrizione. Diversi rinvii, però, hanno reso l’attività parlamentare sempre più ridotta. Ci sono state le elezioni in Emilia- Romagna e in Calabria e queste hanno bloccato tutto, ma l’Italia ha bisogno di politici veri che diano l’anima

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